Strumenti Utente

Strumenti Sito


wikipaom2018:lez_2018-05-03

A cura di Francesco Piperni.

FILE PDF: temp_2018-05-03.pdf

La FIGURA A rappresenta l’irrigidimento che abbiamo osservato sulle sezioni in parete sottile aperta a torsione. Ne estraiamo una sezione, una listerella lunga ds. (FIGURA B) A quel profilo sono applicate due contro-coppie torcenti che danno luogo a una rotazione differenziale +psi e -psi. Abbiamo modellato un oggetto agli elementi finiti dove ogni striscia del nostro oggetto è stretta tra due corpi rigidi RBE2 (che in figura sono rappresentati sotto forma di due manovelle). Nel mezzo del nostro oggetto c’è un’anti-simmetria, per cui ne abbiamo modellato solo metà. Nella modellazione con libero moto di ingobbamento, libero warping, ogni moto di quella listella, quindi anche il contorno, possiamo immaginarlo costituito da un vincolo cinematico che si frappone tra la striscia e il corpo rigido. Vincolo che è l’equivalente di un giunto gardano (possiamo vederlo come una sfera con nasello dentro una cilindrica con guida) con in più un moto libero assiale. Vincolo che trasmette coppia in direzione assiale, e che non è capace di trasmettere coppia in altre direzioni o azioni in direzione z. Quando le due manovelle compiono le due rotazioni in senso opposto, listella che si sposta su tanti piani e, in particolare, possiamo analizzare la sua deformazione vista da un piano parallelo sulla listella stessa. Giunto che trasmette una rotazione (una rotazione total z) che è quella che porta in torsione la listella. Ho che l’intero oggetto viene portato in torsione con due coppie opposte che sono previste dalla teoria della sezione in parete sottile aperta del DSV (quindi con libero warping a torsione). (FIGURA SOTTO FIGURA B) In questo piano osserviamo che quei due punti, che nell’indeformata sono allineati su quella retta tratteggiata, nella deformata shiftano sopra e sotto. Però, condizione di libero warping, spostamenti che sono compensati totalmente da un moto di corpo rigido della listella stessa che ruota in modo perpendicolare al piano. Quindi non c’è energia deformativa ulteriore associata a quello spostamento entro-piano, cioè non c’è energia ulteriore rispetto alla sola torsione della listella, per cui non c’è una maggiorazione di coppia da applicare. (FIGURA D) Quando invece mi pongo in condizioni di warping impedito, immagino di grippare quel giunto ottenendo così una connessione rigida tra la listella e gli RBE2. A fronte di una contro-rotazione delle due manovelle, si ha che quei punti shiftano verso l’alto e verso il basso, però moto in direzione z assiale che ora andiamo a bloccare con questo vincolo che è più ricco. (Nota bene: angolo alpha in figura che serve solo per ricordare che la listella non per forza è allineata). (FIGURA SOTTO FIGURA D) Rotazione dei due segmenti laterali che non è più possibile perché rotazioni che prevedono uno spostamento in direzione z che noi invece dobbiamo bloccare. Allora per vietare quelle rotazioni andiamo ad applicare quelle coppie. Segmenti che per raddrizzarli ci applico delle coppie, coppie che però da sole non sono in equilibrio per cui ci vuole anche un’azione tagliante. La presenza di quelle due coppie mi genera quella farfalla di tensione in direzione assiale. Component 11 of stress che abbiamo analizzato nel nostro modello, la quale è massima agli estremi e nulla in mezzeria. Nulla in mezzeria perché li presente un vincolo di anti-simmetria dove un’azione assiale deve essere nulla per definizione (vincolo di anti-simmetria che non blocca quel moto, quindi non potrebbe applicare la reazione vincolare che genera quel sigma1). Per equilibrare la reazione dovuta alla rotazione di quelle due coppie, devo applicare due tagli che inducono sulla listella delle azioni taglianti tao12. Azioni che, mentre le tao12 naturalmente indotte dalla torsione sono distribuite a farfalla con valori massimi estremali top-bottom e nulle al piano medio, qui invece sono non nulle al piano medio e in particolare, nella teoria che si svilupperà da queste considerazioni, il valore di queste tao12 viene considerato uniforme lungo tutto lo spessore della listella. L’andamento è parabolico e generalmente non si annulla in estremità perché quel bordo non è libero, ma è un bordo in continuità con la listella adiacente e per questo si assumono tao non nulle. Solo in alcuni punti si può dire che la tao è nulla in assoluto e, in particolare, sui fianchi dove presente il taglio nella sezione dell’oggetto in parete sottile. Con queste figure, riusciamo a motivare la presenza di una tao12 al piano medio che poi si sovrappone al top-bottom, e quella dovuta alla normale torsione secondo DSV. Quella distribuzione tagliante è l’unica che ho in corrispondenza della mezzeria venendo li a mancare la sigma1. Poi, ovviamente, non potendo dire che in mezzeria non è nulla la tao la soluzione prende una certa complessità e, dalle considerazioni che sono graficate, ne deriva tutta una teoria che porta sostanzialmente alla definizione della torsione secondo Vlasov. Torsione che è una correzione della standard secondo DSV e che prevede che la coppia torcente esterna venga equilibrata non solo dalla torsione delle listelle infinitesime, ma c’è anche un contributo chiamato quota parte di coppia torcente sostenuto dall’effetto Vlasov (effetto che possiamo visualizzare come il taglio moltiplicato per quel braccio). Praticamente quella listella tendiamo a deformarla non a parallelogramma, ma a S come flessione. Viene fuori che il momento torcente complessivo è la somma di quei due contributi dT(dsv) + dT(vla). Sviluppando la teoria (cosa che non facciamo perché troppo complessa) si riesce ad arrivare a delle formule e una delle quali, vede un legame tra l’angolo angolo di torsione ottenuto e la coppia torcente applicata.

In formula all’interno della parentesi è possibile notare il contributo di Vlasov, il quale mi rappresenta l’aggiunta di quella seconda modalità di supporto del momento torcente. Aggiungo un decremento alla quota parte di torsione definita dalla rotazione secondo DSV e così cala la rotazione a parità di coppia applicata Mt. Due psi è l’angolo cumulativo di disallineamento dei due estremi del profilato, Mt la coppia torcente, due L la lunghezza totale del profilato. Formula che è stata ricavata secondo le condizioni al contorno di warping doppiamente impedito ai due estremi (formule leggermente diverse possiamo ottenerle se warping impedito ai due estremi e in mezzeria). Termine di Vlasov che ha entità guidata da quel rapporto tra lunghezza della trave (2L) e quel 2d, dove d è una dimensione caratteristica associata alla sezione e al suo comportamento in effetto Vlasov. In particolare, questa lunghezza caratteristica è tale per cui se la trave è molto più lunga di questa lunghezza rende quel termine di Vlasov trascurabile e, se la trave ha una lunghezza più piccola o dell’ordine di quel d, allora l’effetto Vlasov diventa dominante. Quel d è una proprietà della sezione e volendo è anche del materiale perché contiene E/G, che è sostanzialmente fissato a 2.6 per tutti i materiali strutturali e 2(1+ni) con ni=0.3. Cw, invece, è storicamente proprietà propria della sezione indipendente dal materiale. C’è quindi una lunghezza caratteristica con cui andiamo a confrontare la lunghezza effettiva della trave. d è una proprietà della sezione che può essere ricavata andando a considerare la rigidezza di un profilato di una data lunghezza con warping libero e warping impedito. Dall’irrigidimento riesco a trovare il valore di quel termine (contributo di Vlasov) e quindi a tirar fuori d.

FILE EXCEL: foglio_di_calcolo_rigidezza_torsionale_trave_ffcd2018_v002.ods (seconda pagina excel)

Per il profilato, il calcolo di quella d minuscolo fa parte del foglio di analisi della risposta e risulta che per la sezione aperta abbiamo stimato che d è dell’ordine di 2.5 m, con una dimensione della sezione che è circa 120 dell’altezza sull’ala. Per cui diciamo che quell’oggetto, per le sezioni aperte, è enorme rispetto alle caratteristiche di sezione (è diciamo 20 volte). Affinchè l’effetto Vlasov risulti no rilevante, la trave dev’essere molto più lunga di quella lunghezza che è 20 volte della dimensione caratteristica. Per cui alla fine possiamo trascurare l’effetto Vlasov in sezioni sottili aperte solo se la trave è lunga 100 – 200 volte la sua dimensione in sezione (cosa che non succede mai sostanzialmente). Quindi da questa stima notiamo che per sezioni aperte questa lunghezza caratteristica, rispetto alla quale misuro la lunghezza della mia trave per vedere se Vlasov è rilevante o no, è tipicamente enorme. Quindi risulta che Vlasov è sempre rilevante per le sezioni aperte.

(Terza pagina del foglio di calcolo excel)

Ripetendo il calcolo per le sezioni chiuse, trovo che l’irrigidimento tra warping impedito e warping libero è, nel caso misurato, dell’ordine di 1.00519. Per cui risulterà che la lunghezza caratteristica, sulla quale misuro la potenziale influenza dell’effetto Vlasov, in questo caso mi risulta essere dell’ordine di 3 mm anziché dell’ordine di 1.5 m come prima. Con stessa dimensione di sezione solo con sezione chiusa, ho che la dimensione caratteristica, per quanto riguarda la scala delle lunghezze sulla quale lavora l’effetto Vlasov, passa da 2.5 m a 3 mm. Appena la trave è appena più lunga di 10 volte 3 mm, cioè lunga almeno 1.2 volte la sua dimensione caratteristica in sezione (che in questo caso è 120), l’effetto Vlasov è trascurabile.

Possiamo costruire grafici di questo tipo che riassumono l’influenza, al variare della lunghezza di questo irrigidimento, per effetto Vlasov. Nel grafico, sulle ascisse è presente il rapporto tra la lunghezza effettiva della trave e la distanza caratteristica d propria della scala, sulla quale devo misurare l’effetto Vlasov. La curva blue (quella più interessante) dice che per travi molto lunghe, 100 volte d, tende a 1 e ci dice quanto è l’irrigidimento associato all’effetto Vlasov ed è il rapporto tra la rigidezza contando Vlasov e rigidezza al warping libero. Per travi molto lunghe effetto Vlasov non ha più influenza, se però sono poi già a 10 volte quella lunghezza di riferimento d, allora un piccolo irrigidimento ce l’ho. Se sono a 2L/d=1 ho un irrigidimento di 14 volte. Diciamo che se abbiamo una trave con una certa lunghezza possiamo misurare la sua rigidezza e stimare cosa accade se l’accorcio o la allungo. Se vado a vedere lo stato tensionale in un profilo modellato con warping impedito, possiamo misurare lo stato tensionale nell’intorno dell’estremità e della mezzeria e ottengo grafici che possiamo riportare in excel.

FILE EXCEL: profile_in_torsion_l10_r04_open_nowarp_v005_results.ods

Curva verde (che oscilla da circa -1400 Mpa a +1400 Mpa) è la tensione sigma 11 assiale, la quale risulta essere enormemente dominante rispetto alle altre. Nella curva si riconoscono i 5 tratti della sezione, tratti che sono così divisi:

Nel grafico, sono le linee verticali che corrispondono sostanzialmente agli spigoli della curva. Parto con minima tensione assiale e arrivo alla massima tensione. Andamento nel mezzo che poi è specifico della sezione in esame. Vediamo comunque che le tensioni dominanti sono quelle di tipo assiale. Le altre curve sono invece le tensioni taglianti in estremità e in mezzeria: in estremità è la curva viola un po' oscillante che è diciamo “sporcata” dalla prossimità del corpo rigido. Invece, in mezzeria abbiamo al piano medio la curva rossa che è una tao dovuta all’effetto Vlasov perché, lo stato tensionale previsto dal DSV, è uno stato sempre tagliante ma che varia a farfalla lungo lo spessore per cui va da un valore massimo, passa per 0 in mezzeria e poi va a un valore minimo. Curva rossa che mi da una tao che non è prevista dal DSV. Da 0 si discosta un po' per l’effetto Vlasov. Tao del DVS che posso vedere come la differenza tra medio e top e medio e bottom. Se a quel valore medio aggiungo la farfalla prevista dal DSV ho il top e il bottom. Vediamo però che la tensione prevista dalla quota parte del DSV è minima. Diventa fondamentale andare a misurare quella tensione assiale in estremità della curva verde. Immaginiamo di vedere come scala quel valore di picco della tensione assiale allungando e accorciando la trave per capire più o meno, una volta fatto un calcolo sulla prima variante di progetto, cosa accade se allungo o accorcio e come variano le tensioni associate a questo effetto Vlasov, tutto per quota parte assiale. Tensioni che la teoria le vede proporzionali a quell’oggetto che si chiama B-moment, che è un momento di grado superiore [N mm^2].

Tensioni che sono proporzionali a questo oggetto B. Poniamoci per esempio con 2L/d =10, vedo che ho un tot di tensioni. Se dimezzo la lunghezza della trave allora mi aspetto che le tensioni crescano di un tot che leggo dal grafico. Curva che insomma ci permette di predire l’andamento di quelle tensioni al variare ad esempio della lunghezza del profilato. Curva che è stata trovata implementando alcune formule della teoria dell’effetto Vlasov in un foglio Maxima. E’ un primo tentativo che correggere gli effetti, per una data sezione, adimensionalizzando ed estendendo su di un grafico per governare un po' il problema senza dover per forza passare per le equazioni differenziali. Chiudiamo l’effetto Vlasov e l’analisi del profilato a torsione.

Passiamo alla questione vincolamento. Abbiamo trovato una matrice di rigidezza della struttura definita come sommatoria su tutti gli elementi delle matrici di rigidezza di ogni elemento j-esimo, post moltiplicate per una matrice Pej che trasforma i gdl globali in gdl locali propri dell’elemento, e pre-moltiplicata per Pej trasposta delle stesso elemento, che trasforma le azioni da applicare ai nodi, per mantenere l’elemento in quella configurazione deformata descritta secondo un sistema locale, in un sistema globale.

Formula 1

Quindi:

Formula 2

Le forze che devo applicare dall’esterno (per mantenere la struttura in quella configurazione di deformata descritta dal vettore d) è uguale alla matrice K per il vettore d stesso, il quale contiene i gdl di struttura, ovvero le rotazioni e spostamenti di ogni nodo della struttura. Se sistema ha poi comportamento lineare c’è quest’altra proprietà:

Formula 3

Si tratta dell’energia potenziale elastica totale della struttura. Uno dei vincoli di U è che ha un minimo e sicuramente al di sotto di U, quando uno spostamento è nullo, non ci posso andare. Per cui, detto che U=0 quando vettore d=0 e che applicando un d diverso da 0 non può che crescere, si ha che U maggiore-uguale di 0 per ogni d. Non a caso quella è la definizione di matrice semi-definita positiva per cui K è semi-definita positiva. Non è definita positiva perché, se al posto di quel vettore d ci metto una pure traslazione in x, ottengo energia potenziale nulla. Esiste cioè uno spostamento non nullo tale per cui U=0. Cosa che posso fare per ogni traslazione e rotazione del sistema, e non solo se il sistema ha dei meccanismi interni come un parallelogramma articolato, dove si avranno 6 moti di corpo rigido a energia nulla più il moto del movimento del parallelogramma articolato. Avrei più modi a U=0. Quindi matrice K che è solo semi-definita positiva e quindi è singolare! Singolare a 6 moti indipendenti a energia nulla. K ha 6 autovalori nulli, rango deficiente di 6 unità. Sistema singolare per cui faccio fatica a gestire una soluzione semplicemente perché non è univoca. E’ proprio qui che entra in gioco il problema del vincolamento.

Abbiamo qui rappresentato il più complesso sistema possibile rappresentabile, perché con più di 3 dimensioni si fa fatica a fare dei grafici. Abbiamo un sistema con massimo numero dei gdl che si possono gestire, cioè 3. Caso che non è abbastanza generico per caso con n=3 (con n che rappresenta il numero dei gdl) non ho tutte le proprietà di un n generico, però era l’unico rappresentabile al meglio. Sistema che è un triangolo rigido sopra una molla. Consideriamo il moto come puramente verticale dei 3 estremi del triangolo, per cui abbiamo quindi 3 gdl indipendenti. Gdl che raccolgo in un vettore d, con d1, d2, d3 che sono 3 spostamenti in z.

Formula 4

Gdl che nascono tutti e 3 non vincolati. A questo punto vogliamo applicare un sistema di vincoli definito e, in particolare, si è pensato di introdurre 2 vincoli le quali equazioni sono rappresentate in figura. Vincolo -2- è della tipologia spostamento imposto a un certo gdl. In marc ne abbiamo usato uno andando ad imporre una certa rotazione per ottenere una torsione per esempio, oppure quando abbiamo imposto valori nulli per vincoli di anti-simmetria. Vincolo che in figura vedo come agganciato a terra. Vincolo -1- che invece mi dice che se d1 va su, allora d3 va giù. Si tratta cioè di un vincolo che lega tra loro più gdl. Anziché essere 1 gdl agganciato a terra come il vincolo a d2, questo prevede che gli spostamenti d3 e d1 non siano tra loro indipendenti ma esiste una relazione che li lega. Il vincolo -2- è normalmente chiamato nei programmi come SPC (single point constrain ovvero vincolo su singolo punto). Vincolo di tipo -1- viene invece chiamato MPC (multi point constrain). Nel marc gli MPC sono chiamati servo-link nella forma più generica ma che, in realtà, si riducono a una forma MPC tutti quei vincoli interni RBE2 (nel dire tu nodo ti sposti come quest’altro). Come impongo questi vincoli sul mio sistema? Vincoli che sono equazioni, non abbiamo definito se è d1 che dipende da d3 o viceversa e bisogna deciderlo. Ogni volta che in marc impostiamo un servo-link in RBE2 , RBE3 ecc.. bisogna sempre declamare che alcuni gdl sono dipendenti dagli altri che invece restano indipendenti. Abbiamo con -2- che d2, che prima era gdl indipendente, adesso ha una natura che non è più vincolabile e quindi implicitamente dipendente dalle condizioni al contorno. Invece in -1- definiamo dipendente d3 e lasciamo d1 indipendente. Diciamo che una volta definiti i vincoli, d1 risulta indipendente e in marc viene chiamato retained (o master) e cioè è mantenuto come incognita; d2 e d3 invece di natura dipendente vengono chiamati tied (legati), e non sono ulteriormente definibili. Preso quindi un sistema di n gdl, viste tutte le relazioni cinematiche assolute SPC e relative MPC, riesco a definire per ogni gdl la sua natura dipendente o indipendente. Nel caso specifico, avendo 3 gdl si è scelto di lasciarne 1 indipendente e 2 dipendenti. Per questo alcuni passaggi di questa trattazione soffrono del fatto che abbiamo 1 solo gdl indipendente quando di fatto ne potremmo avere di più. Cerchiamo una forma generica per poter rappresentare tutte le relazioni di questo tipo. Detto R l’insieme dei gdl i indipendenti, detto T l’insieme dei gdl j dipendenti, si ha che:

Formula 5

A questo punto possiamo scrivere:

Formula 6

Ovviamente siamo in grado di costruire una relazione di questo tipo per un qualunque sistema di vincolo con un qualunque numero più o meno di gdl indipendenti e dipendenti. In forma compatta:

Formula 7

Soprannominando le dovute matrici e vettori in quel modo. A questo punto si ha che:

Formula 8

Notiamo che di fatto non c’è una grossa differenza tra lo spostamento imposto e la forza imposta, ma semplicemente quello che è uno spostamento imposto, lo moltiplico per la matrice rigidezza e diventa un termine di forza esattamente come la forza F direttamente imposta. I termini noti risultano somma di azioni in termini di forze e coppie applicate ai nodi, più i contributi legati agli spostamenti imposti scalati su di una matrice che trasforma spostamenti in forze. Gli spostamenti imposti vanno a modificare la matrice di sistema solo come switch on/off: on, Gdl libero aggiungo una riga e una colonna alla matrice di sistema; off, gdl vincolato tolgo una riga e una colonna alla matrice rigidezza del sistema. Che lo spostamento di quel nodo d2 sia 0.3, 0.2 ecc non cambia la natura della matrice di sistema ma solo i termini noti. Per cui, diciamo che c’è una sostanziale equivalenza tra spostamenti imposti e forze imposte al netto della questione gdl libero, gdl vincolato. E’ qui presente però un problema: abbiamo n equazioni (con n il numero dei gdl totali) dove però le incognite sono pari al numero dei gradi di libertà indipendenti, i quali sono un sotto-insieme di n. Perciò tale sistema risulta immediatamente indeterminato, e quindi non può essere risolto. In realtà ci siamo però dimenticati di scrivere le reazioni vincolari!

Formula 9

Se il sistema è vincolato è soggetto a delle forze esterne F ma anche alle reazioni vincolari R. R che è incognito e può equilibrare qualunque condizione di disequilibrio. Se lascio R come un’incognita parametrica risulta che può equilibrarmi qualunque termine a piacere. In realtà, questa R ha un vincolo preciso che non può essere qualunque ma, per capirlo, è un po' più complicato. R ha un vincolo che nella sua natura è il concetto di vincolo liscio. Cioè ogni vincolo applicato è supposto liscio, ovvero la sua reazione vincolare è perpendicolare a ogni movimento concesso. Quando è che un vincolo non è liscio?

Prendiamo una trave, un carrello ad asse verticale, poniamo una forza F e un carico distribuito P. Mi aspetto che tale F si scarichi sulla cerniera fino all’altra parte, non se il vincolo non è liscio. Se vincolo non è liscio potrebbe essere che la reazioni vincolare di quell’oggetto (carrello) sia una quota parte verticale e più esiste anche una quota parte orizzontale. Se vincolo non è liscio appare anche questa quota orizzontale per cui una parte di F va a scaricarsi sul vincolo non liscio carrello e l’altra sulla cerniera. Quota parte orizzontale che non siamo abituati a vederla perché implicitamente i vincoli li usiamo tutti lisci. Preso quel vincolo verticale, ho che gli spostamenti ammessi sono tutti ortogonali alla reazione vincolare. Vincolo liscio che richiede perpendicolarità tra reazione vincolare e qualunque moto possibile nel sistema che rispetti quei vincoli. Per cercare di capire:

Spazio delle configurazioni: ho 3 assi d1, d2, d3 dove un punto nello spazio definisce una qualunque configurazione possibile. Alzamento o abbassamento del triangolo prima considerato a piacere. Applico il primo vincolo -1- che mi dice che c’è un legame tra d3 e d1. Ho uno spazio 3D dove nel caso generico n dimensionale (con n=numero gdl) e senza vincoli posso muovermi in qualunque punto di quello spazio. Applico il vincolo -1-, non più ogni punto di quello spazio è buono ma solo i punti che giacciono sul piano associato alle equazioni di vincolo. Nel caso 3D è un piano, nel nD è un super-piano. Passo quindi da un punto generico nello spazio delle configurazioni, ad un punto che deve giacere su quel piano rosso per rispettare il vincolo-1-. Poi c’è anche il vincolo -2-, che è quel piano verde e rappresenta tutte le configurazioni in cui d2=0.2. Se il sistema deve rispettare ambo i vincoli, tutte le configurazioni giacciono sulle intersezioni di questi due iper-piani che nello spazio 3D, tra i vincoli -1- e -2-, rimane una retta. In generale l’intersezione degli iper-piani è un sottospazio del precedente ma multidimensionale (tante dimensioni quanti i gdl che rimangono indipendenti). Ognuno di questi piani (o iper-piani) definisce in maniera abbastanza univoca la sua normale, perché possiamo scrivere le equazioni di vincolo in quella forma:

FIGURA4:XXX

In particolare, in presenza di uno spostamento imposto non nullo la configurazione scarica non è per forza più soluzione perché uno degli iper-piani non passa più per l’origine (origine che è la configurazione scarica). Ora se scrivo le equazioni dei vincoli -1- e -2- in quella forma, noto che i coefficienti mi danno in maniera nativa le normali a quegli iper-piani. In particolare, la normale all’iper-piano 1 (che è quello che vediamo rosso) che è data da quel vettore, è facilmente definibile perché la sua associata equazione ha i coefficienti dei termini d1, d2, d3. I coefficienti dell’equazione mi danno la normale dell’iperpiano. Stessa cosa per il secondo vincolo di cui trovo la normale al piano verde. Normali che ci definiscono come è orientata la reazione vincolare associata a quel vincolo perché, per ipotesi di vincolo liscio, la reazione vincolare deve essere ortogonale a tutti gli spostamenti possibili. Piano che mi da tutti gli spostamenti ammissibili e quindi reazione vincolare che è ortogonale al piano del vincolo a cui è riferito. Reazione vincolare che non compie lavoro per qualsiasi spostamento nel piano a cui è ortogonale. Spostamenti totali ammissibili sono sulla linea blue quindi né la reazione verde, né quella rossa, compiono lavoro per gli spostamenti lungo tale linea. E’ difficile però discutere di reazioni vincolari su di un piano d1-d2-d3, ma conviene spostarsi su di un parallelo spazio delle reazioni vincolari R1-R2-R3. Su tale spazio vado a definire le reazioni vincolari che, per ipotesi di vincolo liscio, sono perpendicolari agli iperpiani e sono definite dalle frecce rossa e verde. Tutte le reazioni vincolari possibili sono definite dalla combinazione lineare di questi due vettori. Tutte le reazioni vincolari possibili giacciono su quel piano grigio che contiene tutte le possibili combinazioni lineari di quei due vettori. Ho che quei due iperpiani (rosso e verde) sono ortogonali all’iper-oggetto, o meglio sotto-spazio delle configurazioni possibili (piano grigio). Nota bene: piano o iperpiano sono di solito oggetti che hanno una dimensione pari a quella dello spazio complessivo -1. Il sottospazio delle reazioni vincolari possibili (piano grigio) è ortogonale al sottospazio delle configurazioni possibili (retta blue). Prendiamo il sottospazio delle configurazioni possibili: questo sottospazio è definito da una base, ovvero n vettori indipendenti che modulati tra loro spaziano l’intero sotto spazio. Nel nostro caso:

Formula 6

Il sottospazio delle configurazioni possibili è determinato, in generale, dalle colonne di quella matrice landa, ognuna delle quali è un elemento della base di quel sottospazio possibile. In questo caso abbiamo che la matrice è ridotta a una colonna sola. Infatti, quella retta blue è combinazione lineare del vettore (1,0,-3) e basta, perché è l’unico che c’è. In generale, nella forma più completa quando ho più gdl vincolati, ho che la matrice landa è matrice tipicamente rettangolare con tante righe quanti i gdl totali del sistema, e tante colonne quanto i gdl indipendenti. Le singole colonne di tale matrice moltiplicate per i gdl indipendenti, mi definiscono tutte le configurazioni possibili. Quindi l’ipotesi di vincolo liscio potremmo ridurla nella forma:

Formula 10

Con quel termine landa_*,l che rappresenta una colonna generica della matrice landa. Questa relazione posso scriverla per ogni gdl indipendente e, perciò, relazioni di ortogonalità che sono in numero pari ai gdl indipendenti. Dunque, se considero come incognite solo i gdl indipendenti e creo un sistema di equazioni in quella forma, ottengo un sistema di equazioni pari al numero delle incognite e quindi ho speranza di risolverlo. Prodotti vettoriali che posso anche scrivere cosi per metterli a sistema:

Formula 11

R che posso ricavare da qui:

Formula 12

Con matrice K* che diventa la nuova matrice di sistema e che prende nome di matrice di rigidezza vincolata (anch’essa simmetrica). F* rappresenta il termine noto e contiene sia le forze applicate dall’esterno, sia i termini di spostamenti imposti. Sistema che ha un’equazione ogni gdl membro del vettore d*, per cui è potenzialmente risolubile. A questo punto se ho vincolato bene, cioè ho levato tutti i moti a energia potenziale nulla (in particolare i moti di corpo rigido), adesso questa matrice K* (che è più piccola della matrice K) può avere rango pieno e quindi il sistema può essere risolubile. In particolare, posso prendere questo sistema e sa la matrice è non singolare (ovvero il sistema è ben vincolato), posso ricavare il vettore d* che mi risolve il sistema:

Formula 13

Cosi però sembra che invertiamo la matrice, cosa che invece non faremo mai! In realtà, si usano metodi iterativi o diretti di decomposizione della matrice K*. Trovato il vettore d* (contenente tutti gli spostamenti e rotazioni ai gdl indipendenti), ho che gli spostamenti e rotazioni a tutti i gdl (dipendenti e indipendenti) posso così trovarli:

Formula 14

Se voglio poi le reazioni vincolari:

Formula 15

Abbiamo così totalmente risolto il problema a livello di spostamenti, rotazioni, forze e coppie di reazioni vincolari. Se voglio le tensioni ad ogni elemento:

Formula 16

Noto il vettore d_ej applico le matrici B:

Formula 17

Ottengo così le deformazioni ad ogni punto sull’elemento perché le matrici Bo e B1 sono funzioni di xi e eta, le quali coordinate posizionano il punto di campionamento sull’elemento. Non potendo campionare tutti i punti possibili su ogni elemento (che sarebbero infinito^2), calcolo le matrici Bo e B1 solo ai 4 punti di integrazione per layer (20 punti di integrazione se ho 5 layer) e ricavo le deformazioni entro-piano ad ognuno di quei punti. Poi c’è una forma analoga per le deformazioni fuori piano. Dalle deformazioni, moltiplicando per la matrice D trovo le corrispondenti tensioni:

Formula 18

Ho le tensioni ad ogni punto dell’elemento e, in particolare, ai punti di integrazione. Questa cosa per tutti gli elementi e ho le tensioni a tutti i punti di integrazione (che poi posso estrapolare con quelle regole viste in laboratorio in marc). Cosi abbiamo risolto il nostro problema. L’unica cosa che manca è la seguente: abbiamo sempre parlato di azioni esterne concentrate ai nodi, ma in realtà tipicamente le azioni esterne non sono azioni nodali anche perché i nodi sono concetti legati alla discretizzazione. Perciò, può benissimo succedere che su di una superfice discretizzata sia applicata una pressione distribuita:

Il problema dunque si pone sul come trasformare questa pressione distribuita in quel vettore di forze applicate dall’esterno F, il quale racchiude forze applicate ai nodi. Problema è cercare di trasporre azioni (che non sono applicate ai nodi) ai nodi stessi. In via del tutto generica supponiamo sia applicato ad un dato elemento un’azione distribuita di volume con componenti q_x, q_y, q_z. Abbiamo un volume infinitesimo dv, a cui sono applicate forze q_x*dv in direzione x, q_y*dv in direzione y, ecc..

Formula 19

Si tratta di un campo definito in xi, eta , z e se non lo è, poco male tanto viene campionato solo ai punti di gauss ai quali xi e eta sono noti e, da xi e eta, ricavo x e y. Per cui possiamo anche scrivere:

Formula 20

Se le q le ho in funzione di x, y, e z sappiamo che x e y sono funzione di xi e eta. Quindi in marc possiamo definirli in funzione di x, y e z. Su cosa compiono lavoro quelle azioni? Su degli spostamenti. Definiamo un vettore spostamento U entro l’elemento:

Formula 21

Matrice che non è proprio matrice delle funzioni di forma N perché quella matrice che avevamo definito aveva solo 1 riga, mentre qui ce ne sono 3. Matrice che poi ha tante colonne quanto i gdl dell’elemento. Ognuna di queste colonne descrive il campo di moto che ho quando prendo 1 gdl e lo porto a valore unitario, mentre gli altri li tengo tutti nulli. Prendiamo un elemento generico:

Prendiamo quel segmento che esce dal piano medio e ci applichiamo una rotazione unitaria in direzione locale x. Tale segmento ruota, per tutti gli altri mantengo a zero gli spostamenti e rotazioni e così definiamo il moto di quel segmento. Poi le funzioni di interpolazione e le cinematiche della piastra definiamo definiranno un campo di moto per tutti i punti interni all’elemento…….. Argomento ripreso nella lezione successiva.


sezione a cura del docente

foglio_di_calcolo_rigidezza_torsionale_trave_ffcd2018_v002.ods

profile_in_torsion_l10_r04_open_nowarp_v005_results.ods

profile_in_torsion_l10_r04_open_nowarp_v005.mud

temp_2018-05-03.pdf

wikipaom2018/lez_2018-05-03.txt · Ultima modifica: 2018/05/21 12:45 da 247867